venerdì 5 ottobre 2007

La razza del futuro

immagine presa da H.R. Giger

Si può dire qualunque cosa su Giger. Sicuramente il macabro sfondo sessual-feticistico con cui quest'artista ha imbrattato le fin troppo pulite pagine dell'esistenza non è tra i più rasserenanti. E' vero, forse è esageratamente orrorifica la sua visione, cattiva la devastazione che opera nei confronti dell'armoniosa creatura umana.

Si. Giger ha avuto l'ardita ambizione di trasformare in un tetro e viscerale ambiente intrauterino i pascoli gai e luminosi dell'immaginario terrestre. Ha mescolato poi questo fluido immondo e decomposto con la tagliente e diabolica nervosità dell'elemento meccanico, tipico della nostra era robotica.

Qui i suoi frutti chimici, risultato di una magia pittorica che riesce a percepire e a trasferire su tela il lato insettoide e rettile che ciascuno di noi, insieme a componenti inorganiche di natura pressoché sconosciuta, occulta e custodisce gelosamente all'interno del proprio io.



Ma allo stesso Giger va riconosciuto un merito: quello di aver saputo anticipare come un veggente la bizzarra ibridazione che caratterizza oggi i nostri profili.

Attenzione! Non intendo dire che la razza umanoide sia scomparsa dalla superficie terrestre e che al suo posto stia prendendo vita una colonia di alieni spietati: lascio queste storie ad Asimov e a Dick, molto più bravi di me nel'arte di rendere credibili racconti fantastici.

Chiedo solo un occhio artistico, una sensibilità che abbia il coraggio di sollevarsi dallo scontato, la curiosità di calarsi nei complessi ghirigori che stanno a monte delle nostre percezioni, del nostro ragionamento e dei nostri giudizi.
Vedrete se quest' uomo non apparirà allora come precursore del nostro tempo!


Una volta aperta la breccia nel rassicurante abitacolo delle percezioni ordinarie potremo scoprire quanto a fondo il veleno di queste pitture punga la relazione che ha l'uomo con la realtà, tangibile o virtuale che sia. E' la dicotomia tra allucinazione e visualizzazione effettiva che viene meno, in Giger. Il pensiero insomma, non si distingue più dalla materia, e la materia, la nostra materia, fatta di carne e sangue, si intreccia miracolosamente con un sintetico alieno, altro e alterato.

Tutta l'opera di Giger è un grande apparato scenico che ispira e forse riflette i nostri più avanzati modelli esistenziali. Basta girarsi intorno, vedere persone che camminano o corrono con due pezzi di ferro al posto delle gambe. Altre possono sopravvivere perchè hanno protesi gommose sparse per tutto il corpo, bypass impiantati nel sistema cardiocircolatorio, microcip capaci di rimuovere dalla memoria gli eventi più traumatici.

Non solo. L' infinita gamma di macchinari di cui fanno uso questi "mostri" per meglio svolgere le loro azioni strampalate ricordano da vicino la nostra attrezzatura computeristica, i miliardi di cavi (ora un pò diminuiti) che la circondano. I protagonisti delle tele di Giger sono avvolti e sommersi dai cavi. Tubi morbidi che si trasformano in ossa e poi penetrano nella carne e la perforano, uscendo mutati in qualcosa di inconcepibile.

Le posizioni e i movimenti di questi personaggi-cose non sono di minore importanza: se ad una prima occhiata possono apparire surreali e privi di qualsiasi logica gravitazionale, ad una più attenta riflessione sembrano invece esprimere bene le forme disarticolate che assumiamo quando, immersi nel galleggiamento amniotico del web, tentiamo, con schizzi repentini e capovolgimenti e stiramenti, di reinventarci completamente.


Giger, tu tagli il mio tessuto cellulare in parti sottilissime, per mostrarle al mondo.
Giger, preciso come una lama di rasoio, tu sezioni parti del mio cervello e le trasferisci sulle tue tele.
Giger, tu sei un estraneo appostato nel mio corpo, dove deponi le uova miracolose che predicono il futuro. Hai avvolto intorno a te fili di seta di larve per penetrare profondamente la parte del mio cervello in cui domina la saggezza.
Giger, tu vedi, più di noi, primati addomesticati. Provieni da una specie superintelligente? Sei un visitatore infetto, che con gli occhi a petalo di papavero guarda dentro i nostri organi riproduttori?

Temothy Leary


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