
World Wide Web. Un mondo vasto. Così vasto che si può smarrire se stessi.
Certo, ci sono i porti franchi dei blog e dei social network, le amicizie, skype, le mappe, ma nulla mette a riparo da quell'immane fiumana provocata dal diluvio informazionale.
Chi siamo all'interno della rete? Voglio dire...che sembianze assumiamo quando navighiamo? Dove siamo in realtà, quando ci muoviamo?
Pensare che una parte di me possa essere catapultata in così poco tempo a migliaia di chilometri di distanza è un qualcosa che turba leggermente il mio senso di integrità.
Per questo ho scelto un confronto. Non per rispondere, ma per sfregare insieme due realtà lontane, nella speranza che dal loro scozzo esca almeno una scintilla di consapevolezza.
Noi ci muoviamo per lo più in un luogo sconosciuto, talmente pieno di frattaglie da risultare desertico, privo di percorsi logici e oasi di senso prefabbricate.
La rete - la rete che ci ingabbia, la rete su cui si salta, la rete che ci permette di pescare sempre nuovi elementi, la rete che ci interfaccia all'altro come in una partita tennistica - ha perso le caratteristiche della dimensione domestica: è diventata piuttosto un enorme campo nomadi su cui ogni giorno, come i primi colonizzatori lunari, dobbiamo piantare la nostra bandiera.
Succede allora, nel tentativo di cosmizzare questo territorio selvatico, di trovarsi sbattuti alle glaciali periferie del sensato, fuori dal gioco dei colori e fuori dall'elastico, irrigiditi e ammutoliti dalla paura di perdere il controllo su quel mondo che un attimo prima era apparso nostro amico.
E' in momenti come questo, momenti in cui il diluvio ti trascina al di là della rete, che puoi cogliere la tua frammentarietà, la tua trasparenza, il tuo essere fantasmatico innanzi al World Wide Web.
Come attraversare il nuovo? Come proteggersi dall'inevitabile turbine vorticoso che lo accompagna? L' ambiente sotto i nostri piedi è così mutevole, la nostra identità è così a rischio che devo chiedere se esistono ancora un Excalibur dei guerrieri, un anello del Signore, o una copertina di lana di Linux capaci di darci la forza e di orientarci tra gli anfratti onirici del cibernetico.
Gli Achilpa, una delle tribù australiane Aranda, ci forniscono forse il parallelo più pertinente di questo sentimento di sperdutezza in uno spazio sconosciuto, caotico.
Secondo la loro mitologia , un essere divino chiamato Numbakula "cosmizzò" il loro territorio e fondò le loro istituzioni.
Con il tronco di un albero della gomma Numbakula costruì poi un palo sacro, vi si arrampicò fino al cielo e scomparve.
Questo palo rappresenta l'asse cosmico; è infatti attorno ad esso che la terra diventa abitabile e si trasforma in "mondo". Il suo ruolo rituale, pertanto, è considerevole. Gli Achilpa se lo portano dietro nelle loro migrazioni e decidono la direzione da prendere a seconda della sua inclinazione.
Ciò consente loro, malgrado i continui spostamenti, di trovarsi sempre nel "loro mondo" e di restare al tempo stesso in comunicazione con il cielo in cui Numbakula scomparve.
Se il palo si spezza è la catastrofe; è in un certo senso "la fine del mondo", una regressione nel caos. Spencer e Gillen riportano una leggenda secondo cui l'intera tribù cadde in preda all'angoscia perché il palo si era spezzato. Dopo aver vagabondato a caso per qualche tempo, alla fine i membri si sedettero per terra e si lasciarono morire.
Questo è un eccellente esempio della necessità di avere un punto di riferimento nel deserto, fisico o cognitivo che sia.
Per gli Achilpa il "mondo" diventa "il loro mondo" solo nella misura in cui riproduce il cosmo organizzato e santificato di Numbakula. Senza quest'asse verticale che garantisce un'apertura verso il trascendente e al tempo stesso consente l'orientamento nello spazio, essi non possono vivere. In altre parole: non si può vivere nel "caos". Una volta interrotto il contatto con il trascendente e distrutto il sistema di orientamento l'esistenza non è più possibile. Gli Achilpa si lasciano morire.Mircea Eliade
Un palo. Solo un palo, per mettersi in guardia dalle fobie paralizzanti che un oltre spaventoso incute loro come minaccia: queste persone rischiano di sparire come presenza di fronte al nuovo; presenza psichica, certamente, ma anche corporea.
Forse che il palo Achilpa (Kauwa-auwa), ricavato dal tronco di un giovane albero della gomma e convenientemente decorato, può essere il corrispettivo della nostra Apple, frutto del più curato design, o dei nostri blog, ricamati da layout e loghi tanto sgargianti quanto evanescenti?
Bastano, questi cari oggetti transizionali, a tener strette le maglie di un io pellegrino come il nostro, o moriremo anche noi, schiacciati dal pesante disordine della rete?