martedì 13 novembre 2007

Libertà: via da dove?


Noi ci sciacquiamo sempre la bocca con la parola libertà. Ci avventuriamo in gargarismi complicati e prolunghiamo la durata del suo sapore con dentifrici e collutori messi a punto a tal fine da esperti intellettuali del settore.

In questi gorgheggi (gusto al metafisico) si odono sempre zampillare tre idee maestre, e le si possono sorprendere nel momento in cui, rinvigorite dalla potenza dei collutori, tentano di uscire con boria ed eleganza dalle bocche dei pronunciatori: inutile…cadranno a pochi centimetri dalle loro labbra, avvolte nella fedele amica bava.

Tre idee maestre abbiamo detto; tre richieste di libertà che presuppongono con arroganza la presenza di un posto migliore immediatamente successivo alla trappola dalla quale si vuole maniacalmente uscire.



Ci lamentiamo della mancanza di:
Libertà politica…e con essa giuridica, ecologica, di stampa, di parola, di opportunità lavorativa.
E’ una lamentela straziante che porta all’allucinazione salvifica di un GRILLO nei panni del Signore Salvatore, dispensatore di paradisi economici e luoghi messianici liberalizzati dalle follie governative del nostro secolo.


Ci lamentiamo della mancanza di:
Libertà fisica
Imprigionati nel nostro odioso e puzzolente paesino guardiamo alle grandi metropoli come ad agglomerati di pietre magiche che formano le strade e i palazzi della Gioia. Gli appuntamenti tardomedioevali del Sabba sono niente rispetto ai convegni delle opportunità che dimorano al loro interno.
I nostri occhi gialli da Negromanti mirano a queste città celesti, ipnotizzati dai vortici della frenesia che le caratterizza: la frenesia del cambiamento, la frenesia delle promesse, la frenesia, in ultimo, del bisogno compulsivo di frenesia, prodotto di una ghiandola ormai inceppata deputata al rilascio di adrenalina.


Ci lamentiamo, e basta.
Libertà psicologia
Ci adagiamo sul lettino di un qualsiasi consulente mentale ( che sia macchina o persona ormai non fa differenza) e iniziamo a crogiolarci nelle nostre angosce esistenziali come porci nel fango. “La trappola, la trappola!” sbrocioliamo nel sonno della coscienza. E giù ipotesi di congiure e organizzazioni antipsichiche pronte ad incastrare con tagliole ben oliate i nostri o pensieri così liberi e pieni di vita.
Sbaviamo, anche qui, al solo pensiero di un mondo libero da ostacoli, garbugli e trame.


Ma non ci soffermiamo mai, in questa sgraziata corsa alla libertà, a riflettere sulle gravi conseguenze del nostro agire.
Più scappiamo più il mondo retrostante diventa gigantesco e mostruoso; la fuga o il progetto della fuga non fanno che accentuare la guerra intestina all’interno di noi stessi e del nostro universo.
Siamo esseri stupidi e tormentati dall’ansia di abbandonare l’unico mondo che è in grado di ospitarci. Anziché alimentare la realtà, interagire con lei o stuzzicarla con spruzzi di fantasia ci intendiamo di ricostruire tutto da capo impregnando il nostro spirito di velenosi deliri di onnipotenza.
Vorremmo la libertà, l’inconsistenza, un viaggio irresponsabile e sempre e solo leggero e creativo; non accettiamo mai di sfidare i meccanismi che ci limitano, non dialoghiamo mai con i tropismi che ci guidano: noi li vogliamo continuamente distruggere. Per andare dove, poi?

Quello che concepiamo come Trappola non è altro, infatti, che una fitta rete di relazioni che, secondo appassionanti quanto lambiccate leggi metamorfiche, viene a comporre la nostra identità, la nostra forma, quello che insomma noi siamo veramente.

E se è vero, come dice Pirandello, che “noi tutti siamo esseri presi in trappola, staccati dal flusso che non s’arresta mai e fissati per la morte”, che darsi una realtà e un peso equivale a “fissarsi in un sentimento, rapprendersi, irrigidirsi, incrostarsi in esso” e dunque equivale ad “arrestare in noi il perpetuo movimento vitale, far di noi tanti piccoli e miseri stagni in attesa di putrefazione”, se è vero, infine, che il buio e il silenzio notturni trasformano la realtà in cui viviamo in una proiezione illusoria scricchiolante, è anche vero, come si ricrede in altri passi lo stesso autore, che oltre questa gabbia c’è il nulla.
C’è il mare, il vento, il fuoco, l'assestarsi dei colpi di quel flusso continuo, incandescente e indistinto…ma non c’è traccia di persona… di affaccendamento umano…di artificio terrestre.

Io voglio questo artificio! Noi dobbiamo volerlo e amarlo, senza agitarsi. Non c’è altro “fuori”.
L’uomo che si agita per uscire assomiglia al topo nella gabbia: non uscirà mai, nonostante si dia tanto da fare su quella rotellina; se lo farà sarà per entrare in un'altra gabbia, o magari, povero lui, per venir mangiato dal gatto che, ghignante, lo aspettava dall’inizio a bocca aperta.
Conviene rilassarsi, mettersi comodi. Non importa dove siamo, chi siamo e in quale tempo siamo intrappolati. Importa imparare a giocare con quella misera illusione scricchiolante che è la nostra vita, sospesi, come equilibristi, tra vuoto e forma.

2 commenti:

SOS Miséria ha detto...

Muito obrigada pela explicação em relação à liberdade. Creio que ela não existe, pois somos sempre dependentes de algo que nos prende os passos.
Grande abraço
Alda

leonardo ha detto...

Grazie A te!!!